venerdì 23 aprile 2010

LE CINGHIE DELLA GARISENDA SONO UN PALLIATIVO

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Al di là dell’aspetto estetico, criticato con toni giustamente aspri da Pier Luigi Cervellati e da Elio Garzillo nell’articolo apparso sul “Corriere di Bologna” del 15 aprile u.s., la cinghiatura della Garisenda pone un problema molto serio: qual è l’effettivo stato delle Due Torri, se si è dovuto ricorrere a un intervento così estremo, oltre che visivamente imbarazzante? In attesa dei risultati degli studi generosamente finanziati dalla Fondazione del Monte sulla statica e la “salute” del maggior simbolo cittadino, “Italia Nostra” non può non esprimere la più viva preoccupazione per la vita del monumento e ribadire nel modo più convinto la propria posizione: che si tratti di cinghie esterne o di tiranti interni, tutti i rimedi finora presi in considerazione rischiano di essere solo costosi palliativi, se non si affrontano alla radice gli aspetti che rendono problematica la sopravvivenza delle Due Torri.

Sul fenomeno della subsidenza, ovvero sul progressivo e inarrestabile abbassamento del piano d’appoggio delle Torri determinato dall’incrocio di faglie sotterranee, non è forse possibile agire altro che con i sistemi fin qui individuati. Ma un altro e non meno grave problema che affligge le Torri è determinato dalle vibrazioni prodotte dal traffico che vi gravita intorno. Su questo aspetto mancano dati precisi; ma basta abitare lungo Strada Maggiore per accorgersi di quanto sensibili siano, soprattutto ai piani alti, le scosse prodotte dal flusso continuo e inarrestabile delle auto, degli autobus e delle moto: l’effetto è quello di un rollio continuo, come su una nave, con conseguenti cadute d’intonaco e crepe che si allargano sulle pareti e sui soffitti.
Per quanto tempo le Due Torri potranno sopportare l’infernale carosello di mezzi pubblici e privati che le aggirano quotidianamente, trasformandole in uno spartitraffico pericoloso e maleodorante?

Non si parla ormai più, come se si trattasse di una cosa ineluttabile, del Civis e del suo passaggio proprio sotto le Due Torri: un’evenienza che in campagna elettorale l’ex-sindaco Delbono si era impegnato a scongiurare e che si è invece affrettato a confermare non appena eletto (questo sì un vero scandalo, e un’offesa per l’intera città, altro che Cinzia-gate!...).
Tra breve i lavori per il passaggio del Civis in via Rizzoli prenderanno il via, dopo che anche le Soprintendenze incaricate della tutela del patrimonio storico di Bologna sono pervenute a un vergognoso accordo col Comune, cedendo alle pressioni degli interessi speculativi delle categorie che vedono nell’operazione, invisa al resto della cittadinanza, una mera occasione di guadagno. Si tratta di una decisione che a parere di “Italia Nostra” prospetta un caso eclatante di mancata tutela, penalmente perseguibile, di un bene culturale individuato dall’art. 10 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (2004), ai sensi del quale sono appunto beni culturali da tutelarsi “le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico”.
In proposito “Italia Nostra”, con l’appoggio di altre associazioni cittadine, intende quanto prima presentare un esposto alla Procura della Repubblica; e se, come crediamo, c’è stata omissione, chi ha mancato dovrà renderne conto.

Ma s’impone un’altra riflessione. A quanto si è appreso, tutto ciò che le Soprintendenze sono riuscite ad ottenere, nella fase in cui avrebbero dovuto viceversa opporsi con ben altra risolutezza al passaggio del Civis per le strade del centro storico, è stata l’eliminazione delle banchine di fermata e della nuova asfaltatura che avrebbe consentito al mezzo di correre con la guida ottica. Se in questo modo si è evitato che la nuova pavimentazione deturpi irrimediabilmente le strade a più alto tasso monumentale del centro, si è consentito però che il Civis, passando su un (nuovo) rivestimento di basoli in granito, imprima agli edifici circostanti le vibrazioni che l’asfalto avrebbe dovuto scongiurare. Poiché il Civis pesa assai più degli autobus attualmente in funzione, l’effetto sugli edifici che si affacciano su Strada Maggiore e via San Vitale non potrà essere che devastante.

Da tempo “Italia Nostra” sostiene che l’unico modo per salvaguardare il centro e in particolare le Due Torri sia la completa pedonalizzazione dell’intera area che le riguarda. Una misura certo complessa, che prevede un coerente ripensamento della mobilità pubblica e privata nell’intero centro storico, ma da cui occorre partire se veramente s’intende fare l’interesse della città. Si tratta a nostro avviso di una priorità da abbracciare in termini estremi, come se la piazza di porta Ravegnana e l’area antistante le Torri fossero occupate da una voragine, o da un lago. Forse che in quel caso non si troverebbe il modo di far passare le auto da qualche altra parte? Una corretta gestione del patrimonio storico impone la precedenza di questo tipo di considerazione su ogni altra; e non dovrebbero certo mancare gli urbanisti in grado di metterla in pratica, impostando un piano del traffico che metta finalmente in primo piano le esigenze della città storica.
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La pedonalizzazione delle Due Torri avrebbe tra l’altro il merito di riportare a condizioni di migliore apprezzamento il maggior simbolo cittadino, al momento visibile solo da lontano, col pericolo, per chi voglia avvicinarsi, di finire sotto un autobus. E si eliminerebbe poi lo smog che, oltre a minare la salute dei residenti, ha reso ormai illeggibili i rilievi in arenaria del portico di San Bartolomeo.

Solo una decisione così radicale, del resto analoga a quella di recente presa dal sindaco Renzi per l’area del duomo di Firenze, potrà assicurare alle Due Torri e al centro storico della nostra città una possibilità di sopravvivenza. Chiunque la voglia assumere, il Commissario o il futuro sindaco, sarà benemerito per gli anni a venire.
A meno che, delle “tre T” per cui è a vario titolo famosa Bologna, non siamo disposti ad accontentarci delle ultime due…



Daniele Benati

Presidente della sezione bolognese di “Italia Nostra”



(Pubblicato sul “Corriere di Bologna” il 18 aprile 2010)

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